In questo periodo in cui la cronaca riporta notizie di attacchi suicidi il pensiero non può non andare – al di là degli aspetti socio/economici e politici – anche ad un aspetto ‘filosofico’ della questione, ed in particolare all’irrazionalità del gesto stesso secondo la nostra ‘weltanschauung‘, la nostra visione del mondo. Mi è venuto allora in mente che da qualche parte doveva ancora esserci la mia tesi di laurea in filosofia teoretica, in cui tra le altre cose avevo preso in esame proprio il fenomeno dell’irrazionale (1). Vi attingo in parte, ma solo per quanto riguarda questo aspetto.
Chiariamo intanto il significato del termine “irrazionale“. Il significato originale della parola risale all’uso dei matematici greci antichi per i quali, se la facoltà calcolatrice dello spirito, capace di giungere nei suoi calcoli a conclusioni esatte, era il logos, l’antilogon esprimeva il carattere di irriducibilità di un ente ideale ad una data funzione sistematrice o classificatrice dell’intelletto. Tralascio lo sviluppo del termine a partire da Kuno Fiscer che fu il primo ad usarlo nel suo Fichte per arrivare alla concisa definizione del Vocabolario Universale Italiano Tramater del 1834: l’irrazionale è ciò che non ha ragione, incapace di ragione.
In seguito il termine si è esteso sino a comprendere sotto di sè ogni realtà, esistente o ideale, che si ponga come ripugnante o estranea, comunque, all’attività propriamente intellettiva e quindi razionale del pensiero. A ben vedere irrazionale è detto di ciò che, pur ammettendo un’esperienza irriducibile a quella scientifica e razionale, come quella estetica e religiosa, è intrinsecamente in antitesi con la ragione.
“Se razionale è tutto ciò che manifesta, in genere, rapporti intelligibili, irrazionale sarà, in primo luogo, ciò che, in qualche modo, turba, infrange, nega i rapporti stessi. L’irrazionale è, senz’altro, l’inintelligibile…l’impensabile, ciò che non posso afferrare, nè intuitivamente, nè discorsivamente….è un limite non soltanto negativo, ma anche difettivo del mio intendimento: è un oscurarsi di quella luce onde investo l’oggetto per conoscerlo. Pertanto l’irrazionale se, primamente, è l’inintelligibile, inciderà come privazione o difetto, sia nel soggetto razionale, in quanto ragionevole, sia in ciò che ne partecipa in quanto razionabile: esso sarà, insomma, l’irragionevole e l’irrazionabile.” (2)
Personalmente ho sempre accettato in modo deciso una posizione che ritenga l’irrazionale fondato su ciò che si contrappone al razionale: razionale inteso come ciò che è dimostrabile, deducibile, mediabile, finalizzabile. Irrazionalistica, ogni concezione filosofica che dà valore e realtà al male, inteso o come principio metafisico, radice della realtà tutta, o perlomeno come principio posto sullo stesso piano del bene.
A questo punto sorge spontanea una domanda: tutto ciò che si oppone o si diversifica dalla ragione è irrazionale? L’infrarazionale sembra quasi sfuggire ad ogni contatto con il pensiero filosofico e restare esclusivamente nel campo d’indagine della psicoanalisi e delle scienze sociali, ma anche i vari fenomeni inconsci ed istintivi fanno parte della ragione. Alla base di ogni nostro comportamento conscio troviamo quasi un “placet” della parte inconscia di noi: l’Ego e il Super Ego su cui si basa l’intero nostro comportamento sono ad un livello inconscio; affermare allora che tutto ciò che si svolge in noi a livello inconscio è irrazionale, significa in ultima analisi fondare la nostra razionalità su una base irrazionale. Cioè una processualità che porti il nostro pensiero da uno ‘stato’ irrazionale ad uno ‘stato’ razionale attraverso stadi sempre meno irrazionali e sempre più razionali. E’ spontaneo chiedersi a quale punto del processo e per quale motivo l’irrazionale si trasformi in razionale. D’altra parte, considerando come razionale l’a-razionale, si potrebbero giustificare eticamente tutte le nostre azioni, o per lo meno non considerarle totalmente immorali, in quanto, anche se irrazionali o non-razionali (ancora), avrebbero pur esse un fondamento di razionalità. Da questo ad ammettere una razionalità del male il passo è breve. Ma se il male è razionale, un comportamento eticamente corretto ed un comportamento eticamente non corretto si equivarrebbero!
Ma in questo momento è più interessante esaminare il sovrarazionale, quello, cioè, che si configura come l’atto di fede, l’accettazione di una “Rivelazione”, limite oltre oltre al quale la ragione non può più procedere. Ma come è possibile parlare di irrazionalità per ciò che trascende i limiti della nostra ragione? Come potrebbe la lucidità razionale del pensiero arrivare al limite delle proprie possibilità e trovare poi non qualcosa che trascenda la razionalità stessa, ma l’irrazionale? Bisognerebbe ammettere la nascita dell’irrazionale dal razionale; la ragione cioè, tendendo ad una perfezione, ad un certo momento arriverebbe alla negazione di se stessa. E viceversa, il nostro intelletto razionale riceverebbe luce dall’irrazionale: un Dio, un Motore Immobile, la Storia (3), un qualsiasi principio soprarazionale, insomma, guiderebbero o sarebbero da esempio ad un mondo razionale mediante l’irrazionalità. Anche ammettendo un mondo totalmente irrazionale, questo principio-guida avrebbe pur sempre una funzione, un ordine, una razionalità: i termini della questione sarebbero così semplicemente capovolti.
Si potrebbe dire che proprio il giungere al limite delle proprie capacità razionali, essendo appunto un limite, non può non condurre all’irrazionale, ove cioè non vi può essere più razionalità. Ma il limite della razionalità è sempre e solo potenziale, mai assoluto, è carenza di una razionalità superiore, non negazione di se stessa nel tentativo di trascendersi. E poi la ragione, nel suo continuo, incessante sforzo nel cercare i rapporti fra il particolare e l’universale, chiarendoli sempre più, tocca continuamente le soglie del mistero, e al di là di queste soglie non può esservi irrazionalità, ma una razionalità sempre più profonda che si perde nell’infinito.
Possiamo dunque definire l’irrazionale il limite negativo-difettivo (per se stesso inintelligibile) che incide o nel soggetto ragionante come tale o in ciò che ne partecipa, e che si configura nella sua forma estrema, logico-astratta, non come inconoscibile, ma come il senza fondamento, ciò che assolutamente non può essere nè può pensarsi, nè può essere finalizzato, l’antilogon, l’assurdo.
(1) ‘Di alcune espressioni dell’irrazionalismo indiano confrontate con alcune espressioni dell’irrazionalismo occidentale”.
(2) (A.M.MOSCHETTI, L’irrazionale nella storia, Patron, Bologna, 1964)
(3) Sembrerebbe quasi che la ‘comprensione’ e un certo tipo di ‘vicinanza’ di una parte delle sinistre europee siano dovute ad una somiglianza di impostazione di pensiero e direi quasi di ‘fede’. Riporto un passo tratto dal libro del Berdiaev. ‘Regno dello spirito e Regno di Cesare’ (Milano 1954, pp.118-119) “La ragione del dinamismo e dell’efficacia del marxismo-comunismo è che esso presenta tutti i tratti specifici di una religione, rigoroso sistema dogmatico, nonostante la sua elasticità pratica; divisione in ortodossia ed eresia; immutabilità della filosofia della scienza; sacra scrittura di Marx, Engels, Lenin e Stalin, che può essere interpretata ma non messa in dubbio; fanatismo dei credenti, scomunica e fucilazione degli eretici…” Manca invece una teorizzazione del suicidio, anche perchè, ovviamente, non è prevista una ‘vita eterna’ .
Lucca gennaio 2016
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