Nel prossimo novembre verrà ricordato il cinquantenario dell’alluvione di Firenze. Forse verrà fatto cenno alla contemporanea alluvione della città di Grosseto, dove vivevo. E ancora una volta il ricordo di quelle tremende giornate, allora, potrà avere un titolo come quello di un libro che uscì in quel periodo…. “Grosseto, un’alluvione per la povera gente”.
Senza nulla togliere alla drammaticità dell’alluvione del centro storico di Firenze, sia per chi l’ha vissuta che per i danni subiti dal patrimonio storico/artistico di quella città, la risonanza mediatica è stata tale da cancellare – quasi – quello che avveniva a Grosseto. Tutta la piana della Maremma, dalle colline al mare è stata travolta dalla rottura degli argini del fiume Ombrone e dalla tracimazione di decine di torrenti e canali. In questo articolo provo a rievocare – attraverso gli occhi dell’esperienza personale e della mia famiglia – quei giorni terribili. Nella galleria fotografica diverse foto (quella in evidenza penso sia tratta dal libro che ho citato prima): sia personali che scattate o raccolte dal mio futuro suocero Piero Venturini, che in quel periodo lavorava e risiedeva a Grosseto. Fu proprio in quell’occasione, infatti, che conobbi e frequentai una ragazza di nome Paola….
2 novembre 1966 – Grosseto
La giornata non era serena, ma non pioveva, come aveva fatto giorni prima. E faceva caldo per la stagione. Mio padre aveva un giorno di riposo, io e le mie sorelle Marina e Gabriella eravamo liberi da impegni di studio….per cui decidemmo di andare a funghi, sport preferito da tutti. Mia madre si raccomandò di portarle sia funghi da mangiare fritti la sera, sia e soprattutto funghi piccoli e sani da mettere sott’olio. In quegli anni e in quei posti ci si poteva permettere questa….lista della spesa. Partimmo tutti e 4 sulla nostra Renault Dauphine (la “Dofin”) verso una località conosciuta come monte Leone. Per raggiungerla, a parte il percorso in macchina, quasi 2 ore a piedi nella macchia. Fu un raccolto eccezionale, che è rimasto negli annali e nei racconti della nostra famiglia. Riempimmo l’ampia bauliera della macchina ed anche all’interno non sapevamo più dove mettere i porcini…. contenti e bagnati, perchè durante la marcia di ritorno aveva cominciato a piovere. Nulla di eccezionale, ma una pioggia novembrina noiosa ed insistente che ci aveva infradiciato fino alle ossa.
3 novembre, mattina – Grosseto
Io e papà accompagnammo mia sorella Marina alla stazione FFSS in quanto andava da sua cugina a Milano, poi proseguimmo per Castel del Piano, sul Monte Amiata, dove a quei tempi avevamo una piccola casetta. Nella notte aveva piovuto, ma poi il cielo si era aperto e decidemmo di andare lo stesso; mio papà doveva travasare un paio di damigiane di vino, lavoro da fare in cantina, al coperto. Mi ricordo che disse: “Probabilmente pioverà ancora, ma noi tanto non dobbiamo andare a giro, accendiamo il caminetto e mentre travasiamo il vino abbiamo da arrostire un mezzo coniglio. Torniamo a Grosseto domani.”
3 novembre, sera e notte – Collevergari, Monte Amiata
Non ricordo con precisione quando cominciò a piovere davvero. Mi ricordo però che mangiammo in fretta, verso le 19, con l’orecchio teso ad ascoltare il rumore forte della pioggia. Poi cominciò il vento, e la grandine…Poi un rumore più forte, una tegola che si schiantò sulle scale esterne della casa. Mio papà preoccupato prese un vecchio coltrone e cercò di metterlo sulla macchina, per paura che qualche altro laterizio ci si schiantasse sopra. Bagnati come pulcini cercammo di coprire la Dauphine col coltrone, ma una raffica fortissima ce lo strappò di mano, e quella vecchia coperta imbottita sparì nel buio. Decidemmo allora di scendere in paese (noi abitavamo a Collevergari, una frazioncina a circa 3 Km da Castel del Piano più in alto su monte di un centinaio di metri) in cerca di un telefono pubblico, per telefonare a casa e sentire se tutto era a posto. Mamma e Gabriella erano da sole. Fu un viaggio quasi allucinante. Una pioggia così l’ho vista solo nei film ambientati ai Tropici. Anche a passo d’uomo i tergicristalli facevano fatica a mostrarci la strada. Tutto buio, tutti i lampioni spenti. Il paese completamente vuoto e il posto pubblico sbarrato. Tornammo indietro. Papà disse che sulla strada provinciale verso Pescina c’era un bar con telefono. La strada era ingombra di rami e foglie, che il vento, sempre fortissimo sollevava in continuazione. E ancora pioveva. Una pioggia che non avevamo mai visto così forte. Anche quel bar era chiuso e tornammo indietro verso casa. La cosa che ad un certo momento mi spaventò davvero fu quella di capire che mio papà non era più solo preoccupato, ma aveva paura anche lui. Lui che a 16 anni era in Marina, che aveva fatto la guerra, visto e vissuto i bombardamenti degli Alleati a Cagliari…. Tornare a casa fu davvero un incubo, di cui ho solo dei vaghi ricordi, dei flash, poco più.
4 novembre, mattina – in viaggio verso Grosseto
Sveglia presto. Credo che dormimmo molto poco quella notte. Non ricordo. Ma appena ci fu luce ed uscimmo (papà andò subito a controllare la macchina, miracolosamente intatta), ci rendemmo conto che finalmente il vento era forte, ma non da bufera. Pioveva, ma era una pioggia normale, non un diluvio. E ad un certo punto smise di venir giù, uscì anche il sole. Prima tappa in paese. Ma i telefoni non funzionavano. Le strade erano piene di rami, foglie, pezzi di tegole rotte (una macchina aveva il vetro anteriore danneggiato in modo notevole). Prendemmo la strada per tornare a Grosseto. Ad un certo punto, dopo qualche chilometro trovammo che era chiusa e dovemmo tornare indietro. Girammo ore, cercando di scendere a valle. Ad un certo punto, non ho idea di dove fossimo, si aprì la vista verso la pianura…..che non c’era più. Era un’immensa distesa d’acqua che si perdeva all’infinito verso il mare.
4 novembre, primo pomeriggio – Grosseto
Non so come, ma ad un certo punto riuscimmo ad entrare a Grosseto e ad arrivare a casa. Da noi l’acqua era cresciuta soltanto di una trentina di centimetri e si era già ritirata. Eravamo tra i fortunati che abitavano in una piccola zona (una bolla del terreno, come la definì un tecnico del Comune) un pò più alta e lontano dalla ferrovia e dal centro storico. Danni pochi, a parte che un fulmine aveva incenerito un bell’albero di albicocco proprio vicino alla casa (con grande paura di mamma e Gabriella). La città, chiusa e sempre allagata.
5 novembre – Grosseto
Inizio di un mese passato a spalare fango, tra un allarme e l’altro (una seconda uscita del fiume dall’argine squarciato per mezzo chilometro si limitò a invadere solo una parte periferica della città). Solo piano piano avemmo notizia dei danni nelle campagne, della gente salvata sui tetti con l’elicottero, del bestiame morto che si putrefaceva nel fango. Della campagna e dell’economia agricola maremmana letteralmente distrutte. Un’alluvione per povera gente, insomma.
PS: Le foto che ho messo nella galleria (conservate in un album) hanno diverse origini. Un paio mie, altre scattate da mio suocero che abitava in centro città. Altre da lui raccolte presso dei fotografi di Grosseto che conosceva. Anche della foto in evidenza che è simile (se non è proprio quella) a quella sulla copertina del libro, ho proprio una copia originale. Non credo comunque di violare alcun copyright e ne ringrazio gli sconosciuti autori.
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